LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE, SE IGNORI QUEL CHE SAI"
creata il 20 dicembre 2007 aggiornata il 18 aprile 2012

 

 

Viene da "introduzione" o da "morale del sito" o dalla pagina sull'infinito

Sei in "scienze dell'ignoranza"

Je veux dire que l’homme a un tyran, l’ignorance. J’ai voté la fin de ce tyran-là. Ce tyran-là a engendré la royauté, qui est l’autorité prise dans le faux, tandis que la science est l’autorité prise dans le vrai. L’homme ne doit être gouverné que par la science. V. Hugo, I miserabili, Libro I, Cap. X.

Wir sind uns unbekannt, wir Erkennenden, wir selbst uns selbst. Siamo ignoti noi a noi stessi, noi che conosciamo. F. Nietzsche, Genealogia della morale, 1886-1887

Every active mind will form opinions without direct evidence, else evidence woud never be collected. R.A. Fisher (1890-1962), The Genetical Theory of Natural Selection, 1930

Every active mind must form opinions without direct evidence, else evidence woud never be collected. R.A. Fisher (1890-1962), The Genetical Theory of Natural Selection, 1958

Vuoi andare all'aggiornamento?

Qualche esempio concreto di ignoranza? Storico o romanzesco? La storia abbonda di fenomeni di ignoranza, voluta e non voluta, estesi dall'auto all'eteroinganno. Là dove c'è un sapere, c'è un velo di ignoranza che lo nasconde, quando non lo falsifica. Io lo chiamo velo epistemico. (Rawls lo chiama "velo di ignoranza"). La storia del flogisto, emersa nella transizione dall'alchimia alla chimica, rifondata da Lavoisier; la storia della diatriba tra meccanicismo e vitalismo in biologia, tra la biologia rifondata da Darwin e il neocreazionismo; la storia recente della teoria delle superstringhe in fisica, che da vent'anni promettono mirabilia, ma non riescono a prevedere un solo risultato sperimentale, sono solo alcuni esempi di quanto radicata e difficilmente estirpabile, sia la volontà di ignoranza nell'elucubrazione umana del sapere. I filosofi ontologici la chiamano volontà di potenza, ma è la stessa volontà di ignoranza che parla.

Ritengo che il campo epistemico, dove oggi fiorisce la forma attiva di ignoranza, intesa come non voler sapere, sia il campo delle scienze cognitive, o cognitivismo. Qui la forma d'ignoranza - come si dice forma di pensiero - è la riedizione aggiornata dell'antico orrore dell'infinito. Il cognitivismo non ne vuole proprio sapere del fatto che l'oggetto della scienza moderna (cartesiana) sia l'infinito e continua a fare della gnoseologia come ai vecchi tempi di Aristotele, basata sul senso comune, coordinando le proprie esperienze attorno ai due consolidati principi: il principio di verità come adeguamento del soggetto all'oggetto e il principio di sapere come principio di causa ed effetto (ragion sufficiente). Essendo entrambi finiti - soggetto e oggetto - l'adeguamento è sempre possibile, a patto di ignorare il caso immaîtrisable dell'oggetto infinito. Essendo le cause finite, è sempre possibile risalire dall'effetto - per esempio il sintomo della malattia - alla causa prima (eziopatogenesi). La teologia è dietro l'angolo dell'ignoranza.

Questo millenario senso comune è difficile da sradicare, perché i due principi di adeguamento e di causalità danno senso al senso. Non danno linfa al senso, come le radici alla pianta, ma come l'aria dà il comburente per ogni combustione. Sono ubiquitari e parassitano, sembrando alimentarlo, ogni ragionamento. Invano nel lontano 1969 Deleuze scrisse una Logica del senso, dove stabilisce una feconda simmetria tra senso e non senso. (Per i nostalgici ripropongo il saggio di Pier Aldo Rovatti, intitolato Nel mondo di Alice, uscito su "aut aut" quasi trent'anni dopo). Invano nel lontanissimo 1662 (circa) Spinoza cominciò a scrivere un libretto sulla riforma dell'intelletto, (Trattato sull'emendazione dell'intelletto), che lasciò incompiuto.

Ai vertici del senso comune, che fuorclude ogni non senso, troviamo due topoi, che a loro volta blindano il buon senso:

I) la concezione che la medicina sia una scienza e

II) la concezione popolare che la scienza sia cognitivismo (con la variante accademica che la scienza sia di esclusiva competenza dell'Università).

Immerso in questo contesto, quando parlo di "psicanalisi scientifica" so di essere immediatamente frainteso dal comune buon senso. Di fatto, vengo regolarmente frainteso due volte.

La prima volta, è quando, come cura, la psicanalisi è immediatamente assimilata alla medicina, che sarebbe già una scienza consolidata, tanto è vero che possiede l'indiscusso monopolio della terapia. Allora, il mio interlocutore mi guarda stupito: "Ma la psicanalisi è già una scienza! Semmai bisogna liberarla dalla presa troppo stretta e soffocante dei dogmi scientifici."

La seconda volta – chiarito a fatica l'equivoco precedente – è quando si suppone che il mio intendimento sia di stare per proporre una psicanalisi cognitivista. (I fenomenologi regolarmente fraintendono: psicanalisi positivista). Il modello di scienza galileiano, congetturale e poco eziologico (quindi, poco o nulla medico e assolutamente non cognitivista), è tanto lontano dal senso comune vigente, nonché dalla vulgata fenomenologica dell'accademia, che ogni sforzo di chiarimento dell'equivoco supera le mie capacità dialettiche. Allora abbandono il campo, tristemente riflettendo sul fatto che invano tra il 2002 e il 2005 ho scritto un libretto, intitolato

Scienza come isteria (Wissenschaft al Hysterie),

dove mi affatico a interporre una distanza tra scienza e conoscenza.

Vedo particolarmente irretite in programmi di voluta ignoranza, generata dal senso comune in versione accademica, le neuroscienze. Intorno a loro il cognitivismo sta tessendo una ragnatela pseudoscientifica, con il colpevole aiuto della filosofia, che propone, per esempio, quella mésalliance tra scienza e filosofia nota come neurofenomenologia, ideata da Francisco Varela e resa rigorosa da Petitot.

Tra le vittime illustri del senso comune fenomenologico annovero in Italia Giacomo Rizzolatti, neurofisiologo di Parma, scopritore dei neuroni specchio, che si è lasciato espropriare della propria scoperta da un fenomenologo accademico, Corrado Sinigaglia, con cui ha scritto a quattro mani un libro, non proprio limpido, intitolato So quel che fai (Cortina, Milano 2006). Il caso Rizzolatti dimostra che non basta essere intelligenti per evitare di cadere nell'ideologia vigente o nel conformismo di moda.

Antesignano dell'applicazione della fenomenologia alla psicologia della percezione, fu in Italia Paolo Bozzi, di cui ci resta un libretto, intitolato Fisica ingenua, Garzanti, Milano 1990, a testimonianza dell'immarcescibilità del "pensiero" aristotelico, da sempre nemico della rivoluzione scientifica galileiana. Al fascino semplificante della fenomenologia non resiste neppure un matematico italiano, che ha fatto carriera in America, Gian Carlo Rota, autore di saggi sulla logica di Husserl e di Heidegger, raccolti nel libro Pensieri discreti(Garzanti, Milano 1993).

Sorprende, quindi, che l'ignoranza umana non sia stata fonte di ispirazione molto gettonata dai romanzieri. I quali preferiscono notoriamente le passioni odioamorose per confezionare i loro divertissement. Tanto più sorprende quanto più si riflette sul fatto che il romanzo moderno è coevo alla scienza. I primi grandi romanzi europei - dal Don Chisciotte di Cervantes alla Bibbia di Lutero - sono contemporanei del dubbio di Cartesio. Testimonierebbe la letteratura romanzesca la volontà antiscientifica dell'uomo moderno? Tuttavia, alcuni rari esempi di romanzi epistemici non mancano. L'ultimo romanzo autobiografico di Gunter Grass, Sbucciando la cipolla, è un bel caso di vicissitudini dell'ignoranza, estese dal soggetto individuale a quello collettivo, dove il non voler sapere viene alimentato da un assortito menu: antipasto - il silenzio della domanda individuale; piatto forte - il fracasso delle ideologie collettive (di centro, di destra e di sinistra); dulcis in fundo - l'appartenenza a qualche accademia. Di questi e di ben più complicati casi dovrebbe occuparsi la psicanalisi, intesa come una delle scienze dell'ignoranza - non l'unica. (La psicanalisi è la scienza di quella particolare ignoranza, costituita dal sapere che non si sa ancora). Sembra che i tempi siano maturi. Gli spazi lasciati disabitati dalle ideologie sembrano colonizzabili e fertilizzabili dalla scienza. O no?

Non abbiamo più maître à penser. Questo è un fatto. E' un male o un bene?

E' un bene, se non avere maestri significa uscire dalla Unmundigkeit - dalla minore età, come la chiamava Kant nella sua risposta alla domanda Cos'è l'illuminismo? Maestri e dottrinari sono destinati a decadere, se prevale la scienza. Oggi, tuttavia, come qualunque sociologo può confermare, non si leggono segni di renaissance scientifica, meno che altrove in Italia. La minorità continua, con effetti devastanti persino sul piano politico, dove la democrazia stenta a decollare. L'iniezione cavallina di berlusconismo, effetto e insieme causa della volontà di ignoranza, ha prodotto in Italia la paralisi dell'impolitica. In psicanalisi non è diverso: l'iniezione cavallina di ismi (freudismo, junghismo, kleinismo, lacanismo, ecc.) ha prodotto l'infantilismo del pensiero psicanalitico, che stenta a uscire dalla minore età. Comandano, addirittura ipnotizzano, i loro catecumeni, le scuole di psicanalisi, ormai orfane di grandi maestri e tuttora rette da presbiteri vecchieggianti. Ognuna è governata dal proprio ipse dixit. Tutti gli psicanalisti vanno a scuola e ci restano. Nessuno osa affrontare l'esame di maturità. Nessuno si arrischia a uscire dal proprio recinto scolastico. Se questa non si chiama volontà di ignoranza... E' una volontà di ignoranza che si annida inestirpabile nel luogo deputato a insegnare. E genera una politica della psicanalisi conformista.

Parlo per me. Probabilmente l'effetto dei maestri che la mia generazione ha avuto in gioventù è stato distruttivo: ha minato alla base la possibilità di pensare scientificamente in teoria e di agire democraticamente in pratica politica. I maestri sono sempre cattivi maestri, insegna il Vangelo. Producono ignoranza "cattiva", cioè quella forma di ignoranza sterile, che non produce nuovo sapere. Produce, anzi, il suo contrario: il non voler sapere - Freud la chiamava resistenza all'analisi. Ma questo potrebbe essere un buon pretesto per inaugurare le "scienze dell'ignoranza".

La mia proposta non è tanto peregrina quanto sembra. Le scienze dell'ignoranza esistono da quando esiste la termodinamica, cioè dai tempi di Sadi Carnot, che si chiedeva come usare l'energia disordinata del calore per produrre energia in forma più ordinata, per esempio l'energia cinetica di un treno. Il nome scientifico di ignoranza è "entropia", nel senso di ignoranza della "informazione nascosta" – si potrebbe chiamarla "inconscia" – in un sistema con molti gradi di libertà (complesso). La nozione di entropia, in quanto crea un autoriferimento epistemico interno al sistema in studio, può funzionare da ponte tra scienze esatte e scienze umane. Il punto è sviluppato in modo suggestivo dal libro di Leonard Susskind, La guerra dei buchi neri (2008), trad. F. Ligabue, Adelphi, Milano 2009 (v. pp. 144sg. Il libro porge anche una limpida testimonianza della resistenza alla scienza degli stessi scienziati.). Un suggerimento di studio è lo sviluppo delle analogie tra l'assioma freudiano della rimozione originaria e il secondo principio della termodinamica, secondo cui l'entropia di un sistema isolato – cioè la sua informazione nascosta o nostra ignoranza – cresce sempre.

In via preliminare, mi sembra di poter individuare una condizione preliminare, necessaria anche se non sufficiente, per poter pensare la psicanalisi come scienza. La psicanalisi non diventerà mai scienza se prima non si staccherà dalla fissazione al caso singolo, in versione di storia clinica (diacronia) e non farà sua la nozione di variabilità, con la connessa nozione di applicazione tra variabili (sincronia). La nozione di variabilità precede logicamente quella di misura e di quantità (le variabili binarie sono qualitative). Ai Greci antichi riuscì la singolare impresa di concepire una teoria della misura, limitata alla proporzionalità e all’additività finita, senza convocare la variabilità del continuo, ma sfruttando solo i numeri interi (Eudosso di Cnido, v. Def. 5, Libro V degli Elementi). La psicanalisi si colloca in una zona di penombra epistemica che precede sia la misura sia la variabilità. Del mondo greco Freud ha conservato l'aspetto deteriore (mitologico), ma non ha acquisito il meglio della cogitazione moderna: la variabilità e il meccanicismo, di cui ha accolto solo un aspetto marginale: il determinismo.

Questo discorso sarà sviluppato in pagine espressamente dedicate alla variabilità (e ancora alla variabilità).

*

La rilettura del classico kantiano mi suggerisce una considerazione sul movimento psicanalitico, per così dire, di "mercato", che lascia intravedere ricadute negative sul destino di questo sito. Acquisire una formazione scientifica o acquisire una formazione dottrinaria costano press'a poco lo stesso in termini di impegno economico e psichico. Pagare l'analista o pagare un master in genomica costa uguale. Ma, per amore di argomentazione, ammettiamo che costi di più la formazione dottrinaria - pagare l'analista personale, pagare l'analista didatta, pagare le supervisioni e i controlli, pagare la scuola, pagare la partecipazione ai congressi di psicanalisi. Tra formazione scientifica e dottrinaria resta una sola differenza, ma decisiva dal punto di vista economico. Quando hai finalmente acquisito la formazione dottrinaria, certificata dal cursus honorum e dal diploma, hai finito. Ti puoi riposare, stendere sugli allori. La dottrina non si mette più in discussione. Non esistono neppure corsi di aggiornamento dottrinari, perché per definizione la dottrina non cambia. (Se cambia è per generare una dottrina alternativa, ma con gli stessi problemi soggettivi della precedente). Oggi puoi tranquillamente applicare la dottrina ai tuoi casi e guardare fiducioso al domani, aspettando che il conto in banca cresca a un ritmo di due cifre l'anno, recuperando dai giovani gonzi, che chiedono una formazione psicanalitica, i soldi che hai investito decuplicati. (Almeno, così funzionava ai miei tempi. Oggi il circolo virtuoso si è rotto).

Con la scienza è diverso. La scienza è un "compito infinito". Acquisita la formazione scientifica, non hai acquisito nulla di definitivo. Sei impegnato in un lavoro di continua revisione. Il dubbio cartesiano non è solo all'inizio dei lavori, ma è la struttura portante di tutto il lavoro scientifico. Lo si ritrova a ogni passo. Vale per il dubbio una sorta di principio di induzione matematica. Il dubbio è al passo zero e, se è al passo n-esimo, allora è anche al passo (n+1)-esimo. Ma alla fine dei conti il risultato economico è evidente: senza certezze dogmatiche e aprioristiche, il conto in banca langue. Chi vuoi che venga a chiederti un'analisi, se non gli garantisci prima il risultato professionale?

Morale: chi preferirà una psicanalisi scientifica a una psicanalisi dottrinaria? Di chi sono le ottocento visite settimanali a questo sito? Chi è curioso di visitare un sito - hai sentito mai? - di psicanalisi scientifica? Chi è alla ricerca di una nuova ciarlataneria da smerciare a buon prezzo, imbozzolata in una retorica incomprensibile? Un faccendiere della psiche? o un intellettuale? Domande che non dovrebbero toccare nessuno, tanto sono retoriche. Tutt'al più testimoniano un certo snobismo da parte di chi le formula, la nostalgia per una certa aristocrazia intellettuale, che oggi è decisamente fuori corso (e che i miei amici mi rimproverano).

Di seguito puoi collegarti a una recente intervista a Zygmunt Baumann sul tema del decadimento degli intellettuali, raccolta da Caffé Europa.

Un'interessante analisi, per certi versi simile alla mia, ma più ortodossa in senso lacaniano e (quindi) più timida nei confronti della scienza (che non distingue dal cognitivismo), è quella di Marie-Jean Sauret (2006, Tolosa) riportata in

La secte psychanalytique.

Questo titolo mi interroga.

Esiste una forma di convivenza tra analisti diversa da quella settaria, basata sulla dottrina impartita da qualche scuola?

Per tentare di rispondere a questa domanda bisogna cambiar pagina.

Vai a Il legame sociale degli analisti.

Ulteriori considerazioni teoriche le trovi alla pagina

Forme di sapere.

Una proposta positiva per avviare il discorso sulle scienze dell'ignoranza è di partire dalla nozione di categoricità contrapposta a quella di non categoricità. Una teoria è categorica (categorical) se tutti i suoi modelli (o presentazioni) sono equivalenti. Una teoria è non categorica se ha almeno due modelli non equivalenti. Le scienze dell'ignoranza operano con teorie non categoriche, cioè non unificabili in una presentazione o in un concetto. In altri termini le scienze dell'ignoranza operano con l'ignoranza essenziale, che non può essere estinta da una particolare e fortunata formalizzazione, che comprenda tutti i casi sotto un unico concetto.

La teoria psicanalitica dell'inconscio è un esempio concreto di scienza dell'ignoranza. Infatti, l'inconscio è non categorico, non esistendo la presentazione che lo rappresenti tutto. Poiché esiste la rimozione primaria, che non si estingue neppure con un'analisi interminabile, esistono le formazioni dell'inconscio: sogni, sintomi, lapsus, transfert, che rappresentano l'inconscio in modi diversi, parziali, non sovrapponibili, nonché spesso ... erronei.

Questo approccio scientifico alla psicanalisi fa largamente a meno della prima topica freudiana. La distinzione tra categorico e non categorico è cartesianamente "chiara e distinta". La bipartizione tra conscio e inconscio è, invece, poco chiara ed esposta a perenni discussioni.

Inoltre la prospettiva epistemica dell'inganno sulla categoricità consente di unificare in modo semplice la psicologia individuale e collettiva. Nella prima predominano gli autoinganni sintomatici (lapsus, sogni, illusioni erotiche e non); nella seconda gli eteroinganni (ideologie, religioni, movimenti popolari e tutte le forme di "conoscenza normale", esempio paradigmatico le scienze cognitive). In entrambi i casi si tratta della volontà di soggiornare in un falso non falsificabile, tipicamente il falso delle dottrine psicanalitiche che si possono solo confermare – suffragare – e mai falsificare.

*

Tentando un approccio più formalizzato, direi che qualsiasi scienza dell’ignoranza dovrebbe contenere almeno un assioma del tipo:

Esiste un sapere che non sai di sapere.

Freud lo chiamava “inconscio”, quel sapere. Io preferisco chiamarlo con il classico e più familiare nome di “verità”. Perché? Ho dalla mia non solo motivi polemici contro il lacanismo di scuola, che sostiene la fuorclusione della verità da parte della scienza, ingenuamente tentando di addossare alla scienza la responsabilità del nichilismo. Ho soprattutto motivi strutturali. Essi risalgono al teorema di incompletezza di Gödel, secondo cui in ogni sistema formalizzato, sufficientemente espressivo da includere l'aritmetica, esiste una verità che, se il sistema è coerente, non sai decidere se è vera o falsa (né dimostrabile né confutabile).

Nell’ottica di questo sito, dove la logica è intesa come logica temporale e il tempo come tempo di sapere – lontano ma autentico discendente del tempo logico di Lacan – l’assioma dell’inconscio si riformula così:

Esiste un sapere che non sai ancora di sapere.

Con una precisazione su quel ancora. “Ancora” va inteso nel senso freudiano della rimozione primaria. Se qualcosa dal pozzo senza fondo della rimozione primaria risale alla coscienza, quell’elemento rimosso diviene conscio, ma la protorimozione non si esaurisce e rimane inconscia. La pro torimozione è infinitamente rimossa o, meglio, è rimossa all'infinito, nel senso che sta al fondo dell'infinito - ultima porta a destra. La Urverdrängung è forse il luogo freudiano dove l’infinito gioca in modo più esplicito. Così, se con il tempo il sapere che non sai ancora di sapere diventa sapere saputo, nel sistema formalizzato resta “ancora” rimosso almeno un operatore epistemico che ignori. Come si dice per l'aritmetica (Gödel), anche l'inconscio è essenzialmente indecidibile: la lacuna dell’indecidibilità non può essere colmata da aggiunte di sapere dall’esterno. (Questa è la ragione per cui l'analisi non si fa leggendo libri, ma nell'hic et nunc dell'interazione con qualche consulente che funzioni da analista.) In un certo senso nella rimozione primaria si tratta di indecidibilità infinita e ineliminabile: cioè, dell'infinitizzazione del dubbio cartesiano. Ho affrontato l'argomento nel saggio pubblicato nel 2002 su la "Clinique lacanienne" (vol. 6, pp. 227-239)

Les comptes qui ne tournent pas rond du refoulement primaire

(I conti che non tornano della rimozione primaria).

*

Ci sono tanti modi per costruire un sistema formalizzato a partire dall’assioma “verità”. Il modello più semplice che preferisco e pratico da vent’anni con una certa soddisfazione è il seguente.

La prima opzione del modello è di operare all’interno della logica intuizionista. La scelta è giustificata dal fatto che, dopo il teorema di incompletezza di Gödel, l’aritmetica ordinaria, che sta alla base di tutta la matematica, è diventata semiintuizionista, nel senso che in essa viene sospesa una variante in forma modale del principio del terzo escluso: o si dimostra X (attraverso una deduzione dagli assiomi) o si dimostra non X (attraverso un controesempio), per ogni X.

Ora chiamo E (per la verità di solito lo chiamo epsilon) il sapere incompleto coinvolto nell’assioma “verità”. Il quale così assume la semplice forma

Esiste E:non E.

La seconda opzione del modello è di aggiungere tale assioma alla logica intuizionista per studiare le proprietà del sistema risultante.
(In realtà, in fase di ricerca, ho proceduto al contrario. Studiando il sistema proposizionale intuizionista, ho notato che esistono operatori epistemici che si comportano come E, il sapere non saputo: sono le tesi classiche non intuizioniste, come il principio del terzo escluso, il terzo escluso in forma debole, la legge di cancellazione della doppia negazione e tante altre – infinite? Credo proprio di sì, ma chi me lo dimostra? Ne parlo nel mio saggio Una matematica per la psicanalisi.)

Quali sono gli effetti di queste opzioni?

In parte sono effetti paradossali. (Si sa che non amo i paradossi, che ritengo il frutto di debolezza logica, ma tant’è).
In logica intuizionista, assumendo come E il principio del terzo escluso, che trasforma ogni enunciato X in X vel non X, vale il teorema

se non E, allora E.

(Io lo chiamo teorema di Cartesio, ma altri lo riconoscerà come antecedente della consequentia mirabilis: se(se non E allora E), allora E). Per modus ponens ne consegue che, essendo assiomaticamente vero non E, nel sistema “verità” anche E è vero.
Tanto giustifica la mia definizione di non E come “assioma verità”. È, infatti, non E un non sapere (un sapere falso) che produce vero sapere.

Ma qualcuno potrebbe giustamente chiedersi: Non hai ottenuto una contraddizione?
Questo è il paradosso: nel sistema intuizionista E et non E non è una contraddizione. Sei sicuro? Sì, perché in tale sistema non vale il principio del terzo escluso, e E vel non E non esaurisce il campo epistemico. Per convincersene basta pensare che esiste un modello, che soddisfa E e non E. E' il modello delle sezioni dei razionali secondo Dedekind, dove E e non E, per esempio E = {numeri razionali il cui quadrato è minore di 2} e non E ={numeri razionali il cui quadrato è maggiore di 2}, non individuano l’insieme vuoto – la contraddizione – ma un numero reale, nel caso la radice di 2. Non entro in merito ai rapporti tra contraddizione e reale, perché Hegel non mi seduce. Riconosco la fecondità dell’approccio intuizionista. Infatti, grazie alla sospensione del terzo escluso, in un certo senso sfioro la contraddizione senza adottarla, ma lasciandola come limite alla frontiera del sistema. (Questa è una notevole correzione alla metapsicologia freudiana, dove il sistema inconscio ammette la contraddizione al proprio interno).

Piuttosto, è un’altra l’osservazione critica da fare. E è sapere. L’assioma “verità” parla di sapere di sapere. Nega che si tratti di un sapere che sappia se stesso. Detto in termini freudiani, l’assioma “verità” richiede che il sapere non sia un sapere conscio. In termini più astratti e meno antropomorfi – la coscienza è al top delle caratteristiche antropomorfe, rappresentando il piccolo uomo dentro l'uomo – l’assioma "verità" richiede che E sia idempotente, ossia coincida con EE (dove il secondo E funziona da argomento per il primo E). In logica intuizionista si dimostra che, se per E si assume il principio del terzo escluso, vale l’idempotenza, cioè E equivale a EE. (Ciò giustifica la nostra scelta della logica intuizionista per formalizzare il sistema inconscio.) Notiamo come dato in sé interessante che il teorema forte di idempotenza non si verifica per operatori epistemici derivanti da altre leggi classiche ma non intuizioniste (legge debole di Jankov, legge di cancellazione della doppia negazione). Per essi il sapere implica sapere di sapere, ma non viceversa. È come se la coscienza di sapere non fosse necessariamente un sapere: un dato non tanto paradossale dal punto di vista clinico, dove il paziente può sapere tutto sul proprio sintomo… conservandolo.

Essendo coerente, almeno fino a prova contraria, il “sistema verità” consente di dedurre altri teoremi. Il seguente è particolarmente importante. Fu scoperto nel 1925, in altro contesto, da Kolmogorov.
Nel sistema “verità” la dimostrazione è semplice. Per la legge di introduzione della doppia negazione, si può scrivere

se E, allora non non E.

Ma ho appena dimostrato che E è vero, quindi per modus ponens è vero anche

non non E.

Che in un certo senso fonda le scienze dell’ignoranza. Infatti, afferma che, anche se sei ignorante, non puoi non venire a sapere, operando opportunamente con la tua ignoranza.

Un’ultima osservazione sulla consequentia mirabilis sopra citata.
Si tratta di una tesi classica ma non intuizionista. (In quanto tale potrebbe definire un operatore epistemico all’interno della logica intuizionista). Abitualmente in accademia viene presentata come un esempio di tesi che dimostra se stessa. Infatti, se sa sai. Se dal fatto che non sai derivi che sai, allora sai in ogni caso, perché le possibilità sono solo due: o sapere o non sapere. In altri termini, la consequentia mirabilis richiede il binarismo forte (la negazione del vero è sempre il falso, la negazione del falso è sempre il vero). Nell’accademia il binarismo forte è di prammatica. Pertanto in accademia si deduce il cogito cartesiano dalla consequentia mirabilis. (Cfr. P. Odifreddi, Il diavolo in cattedra. La logica da Aristotele a Gödel, Einaudi, Torino 2003, p. 70. Se dubito di tutto, non dubito di dubitare, quindi sono un essere che dubita). Tuttavia, non è necessario rinforzare il binarismo per ottenere un principio come la consequentia mirabilis, almeno in forma epistemica. E non è neppure consigliabile, dato che con il binarismo forte si rischia di perdere la dimensione epistemica del sistema logico. Basta e avanza il binarismo debole del sistema intuizionista (la negazione del vero è sempre il falso, la negazione del falso è il vero fino a prova contraria), a cui si aggiunga il nostro assioma “verità”. (Dimostrazione per esercizio che nel sistema "verità" vale se(se non E allora E), allora E).

Per altri teoremi con altri operatori rimando al mio citato saggio.
Qui mi basta aver dimostrato che il campo delle scienze dell’ignoranza non è vuoto e si può adeguatamente formalizzare in modo più ricco e articolato dell’esempio riportato. (Il quale, tra l’altro, ha il difetto di non essere essenzialmente indecidibile.)
Nel campo delle scienze dell’ignoranza rientra a pieno titolo la psicanalisi. Con quali assiomi sia meglio formalizzarla (non E, E non E, o altri) lo dirà la ricerca futura.

*

Un discorso meno formalizzato sulla scienza dell'ignoranza si interroga su quali principi seguire, per rintracciare l'ignoranza che alberga nella mente (nel corpo) dell'uomo.

Ne segnalo uno che devo a una grande critico d'arte che come me amava Lorenzo Lotto.

Consistency requires you to be as ignorant today as you were a year ago.
(Bernhard Berenson).

Leggo questo principio epistemico in due modi e ne traggo una conseguenza pratica.

Il modo dall'interno del sapere acquisito è il più semplice:

"Se rimani ignorante, non ampli il campo delle conseguenze del tuo sapere e non scopri le contraddizioni latenti che vi albergano da sempre".

Il modo che preferisco è dall'esterno del sapere acquisito:

"Ampliare il sapere significa ampliare il campo di ciò che si sa, spostando i confini di ciò che non si sa. Il rischio di questa procedura espansiva è di acquisire dei nuovi dati che possono contraddire il sapere acquisito in precedenza. Per conservare la coerenza la prudenza consiglia di non sapere troppo". Diceva Dante:

State contente umane genti al quia.

La conseguenza pratica ammonisce:

"Diffida da chi persegue con troppa ostinazione la coerenza. E' uno che esercita con pervicacia, dall'esterno e dall'interno del proprio limitato sapere, la volontà di ignoranza".

Perciò a chi andava da lui per una psicanalisi Freud raccomandava il metodo delle libere associazioni - libere dalla preoccupazione della coerenza.

*

Ma veniamo allo specifica questione che interessa chi frequenta questo sito.

Nell'introduzione abbiamo esposto un argomento che si può semplificare e indebolire fino a questo punto:

La psicanalisi non può essere una fisica, ma non deve contraddire la fisica. Se la fisica moderna è indeterminista, la psicanalisi non può essere determinista. La metapsicologia freudiana, rigidamente determinista, con le pulsioni sessuali in funzione di cause efficienti e la pulsione di morte in funzione di causa finale, non è scientifica. Senza contare che la metapsicologia porge un’immagine distorta del freudismo. Dalle due colonne che il dizionario filosofico Treccani dedica a Freud, compilate da Margherita Zizi, si ricava un’immagine di un Freud pessimista hobbesiano che è una forzatura rispetto alle 7000 pagine delle Gesammelte Werke. L’invenzione dell’inconscio è citata en passant come fattore eziologico delle nevrosi.

La psicanalisi non può essere una biologia, ma non deve contraddire la biologia. Se la biologia riscontra una continuità tra gli atteggiamenti sociali degli animali e i sentimenti morali dell’uomo, la psicanalisi non può parlare di pulsione di morte originariamente rivolta  verso l’altro e secondariamente introiettata contro se stessi. Homo homini lupus non esiste in natura. Senza contare che la coazione a ripetere non richiede nessuna pulsione per essere messa in moto, essendo un portato normale della finitezza del soggetto, che arrivato alla zeta torna alla a. Analogamente, il detto lacaniano l'inconscio è strutturato come un linguaggio è biologicamente inconsistente prima che psicanaliticamente. Linguaggio e pensiero si sviluppano in aree cerebrali diverse (il pensiero in aree frontali e limbica, il linguaggio in aree temporali e parietali). L'indipendenza si manifesta anche a livello patologico. Le demenze intaccano il pensiero, ma non il linguaggio; le afasie il linguaggio, ma non il pensiero. Per il logocentrismo, invece, linguaggio e pensiero sono la stessa e identica cosa – tesi già confutata da Cartesio in una lettera a Marin Mersenne.

La psicanalisi non può essere una sociologia, ma non deve misconoscere l’equivalenza tra soggetto individuale e collettivo. Il primo sessuato, il secondo in competizione sessuale con le altre razze.

La psicanalisi non può…, ma

Ma cosa sarà mai la psicanalisi, effettivamente? Qui proponiamo che la psicanalisi sia una per ora misteriosa

scienza dell'ignoranza.

In che senso la psicanalisi potrebbe essere una scienza dell’ignoranza?

In almeno due sensi.

Il primo senso è di principio. Se c’è un sapere che non sai di sapere, vuol dire che non sai tutto. Sei ignorante di quel che sai – questo è l'inizio, il "tuo" inizio. Ci si chiede se di questa ignoranza iniziale si dia una scienza.

La risposta è per ora semipositiva: forse sì. L’incompletezza epistemica – non sapere tutto – è il fatto inaugurale e strutturale del discorso scientifico. E' la condizione necessaria che contrappone la scienza al discorso ideologico o religioso. Questa necessità, a sua volta, è un’affermazione di principio. Nella scienza si opera con e attraverso l’ignoranza. Galilei e Newton non sanno – il secondo addirittura non vuole attivamente sapere – cosa sia la grav sa cosa sia una specie, ma il suo “lungo ragionamento” riguarda l’origine delle specie. Cantor non sa cosa sia un insieme – tanto è vero che ne dà una definizione vuota – ma inventa la teoria degli insiemi. Freud non sa cosa sia l’inconscio – per definizione, essendo l’inconscio un sapere che non si sa – e ne fa la teoria. Purtroppo la metapsicologia freudiana non è all’altezza dell’intuizione originaria dell'inconscio, che è strettamente scientifica, perché è una sistemazione formale prescientifica. Infatti, è rigidamente deterministica – le pulsioni sono cause efficienti e finali nel senso aristotelico – quando il discorso scientifico è indeterministico, pur rimanendo meccanicistico – anzi, inaugurando il meccanicismo.

Il secondo senso è di fatto ed è specifico per la psicanalisi. La psicanalisi potrebbe essere la scienza del desiderio. Ma in sé il desiderio è un fenomeno non scientifico. In quanto tale sfugge al gioco delle congetture e delle confutazioni. Tutto conferma – suffraga – il desiderio “dietro” un sogno o “dietro” un atto mancato. Tutto confuta – sconferma – il desiderio “dietro” un sogno o “dietro” un atto mancato. La dietrologia empirica, a cominciare dal sistematico supporre una causa "dietro" all'effetto, è strutturalmente non scientifica, perché tutto la conferma e tutto la confuta. In fondo, il desiderio autenticamente freudiano rimane sempre inconscio nel senso che è originariamente rimosso. Allora, come trattare scientificamente il desiderio, rispetto al quale restiamo definitivamente ignoranti? Con una scienza debole o congetturale, che tratti il desiderio per via di principio, come la fisica tratta il moto con il principio di inerzia (indimostrabile e inconfutabile), come la biologia tratta le trasformazioni delle specie con ipotesi di interazioni tra geni, individui e specie, nel loro complesso e in rapporto all'ambiente in cui vivono, tuttora largamente non codificate ecc.

Il “principio desiderio” è un principio scientifico, e come tutti i principi scientifici si spalanca sull'incompletezza epistemica.

Recita: “tu puoi sapere all’infinito”.

Ma così il “principio desiderio” apre autenticamente al moderno oggetto del desiderio,

che è l'infinito.

Mi piace chiudere questa pagina sulle "scienze dell'ignoranza" citando dalla "Psicopataologia della vita quotidiana", il libro di Freud meno scientifico (perché il più dietrologico) – tanto per intenderci, il libro che ha imposto l'uso dell'espressione "lapsus freudiano", che in lacanese si tradurrebbe "passione per l'ignoranza":

"Man darf ganz allgemein erstaunt sein, daß der Wahrheitsdrang der Menschen soviel stärker ist, als man ihn für gewöhnlich einschätzt. [...] Der Mechanismus des Irrtums scheint der lockerste unter allen Fehlleistungen, das heißt das Vorkommen des Irrtums zeigt ganz allgemein an, daß die betreffende seelische Tätigkeit mit irgend einem störenden Einfluß zu kämpfen hatte, ohne daß die Art des Irrtums durch die Qualität der im Dunkeln gebliebenen störenden Idee determiniert wäre". (S. Freud, "Zur Psychopatologie des Alltagslebens" (1901), in Sigmund Freud Gesammelte Werke, vol. IV, Fischer, Frankfurt a.M, 1999, p. 247.)

Era il modo freudiano di parlare del "Valore del falso". La cui verità è semplice: Non sappiamo bene cosa siano queste scienze dell'ignoranza, perciò dobbiamo arrangiarci con la nostra ignoranza. Magari tentando di costruirne un modello.

(Torna su)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SAPERE IN ESSERE

SAPERE IN DIVENIRE

Torna alla Home Page